martedì 23 dicembre 2014

Natale Santo

Dalle «Omelie sulla Madonna» di san Bernardo, abate
(Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54)

Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta: deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita. Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo, esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e Davide; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch’essi nella regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola: di’ la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna. Perché tardi? Perché temi? Credi all’opera del Signore, da’ il tuo assenso ad essa, accòglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola. Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia che, mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Lèvati su, corri, apri! Lèvati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. «Eccomi», dice, «sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38)



lunedì 8 dicembre 2014

Luce riflessa e panorama da sogno

Se devo immaginare un panorama da sogno, penso alla luna e penso alla montagna. Le due cose sono facilmente accumunabili e chicchessia potrebbe nel suo immaginario pensare di aver capito a cosa mi riferisco. In realtà la mia immaginazione non è per qualcosa di pensato, bensì per qualcosa che accade realmente in una notte di luna piena, a cielo terso, ad una certa quota. Quello che accade è luce. C’è qualcosa di speciale quando la luce riflessa della luna, diventa a sua volta luce riflessa dalla neve, tanto che la montagna risulta essere inequivocabilmente illuminata. In più l’altra notte c’era anche qualche nuvoletta, che in modo altrettanto baldanzoso era luminosa, anche se il mio sguardo si è posato sul quadro nella mezzanotte. Affascinante come la luce del sole, adombrata dall’ombra della terra che si proietta nello spazio, riesce lo stesso a raggiungere quell’emisfero di terra che sarebbe nel buio. Riusciamo a non passare sempre e comunque le nostre notti all’ombra della terra, e quando succede che il riverbero lunare ha dei riflettori nevosi, lo spettacolo fa superare il sonno. Resterei ore a contemplare, se non fosse che il freddo dello stare vicino alla vetrata mi rende nostalgica del torpore della trapunta. Per questa volta sono contenta così. So che ci saranno altre occasioni. Si tratta solo di saper aspettare. Pertanto, posso tornare a sognare quello che accade.

venerdì 14 novembre 2014

Il rosso di una giornata


I cuscini al risveglio;
gli orecchini come prima cosa da indossare;
il rossetto, anche se poco;
l'albero disegnato sul copriletto;
la giacca di finta pelle;
il colore della metropolitana;
l'edera meravigliosa sull'albero davanti al padiglione Litta;
le correzioni alla tesi;
il commento alla mail;
l'acqua del te ai frutti rossi;
il pomodoro sulla pizza in mensa;
il succo d'arancia al rientro a casa;
la spia della lavatrice;
la spia della lavastoviglie;
la striscia sulla scatola del sale;
la striscia sulla scatola del brillantante;
il sangue del coniglio che devo cucinare;
il sangue dal piede tagliato con i cocci della coppetta caduta in frantumi;
la conserva di pomodori scaduta;
i pomodorini sulla tavola;
il portatovagliolo;
la testa della saliera;
la presina fatta all'uncinetto;
i fiori sullo strofinaccio;
il sacchetto di stoffa da stirare;
la custodia del telefono che suona (quello che mi ha fatto la mia mamma);
il golf che indossa chi mi appare sul display del telefono;
il tasto da schiacciare per terminare la conversazione.
E per finire commento:
desidero ricordarmi di te, come mi accorgo del rosso che riconosco.








domenica 12 ottobre 2014

Il ciliegio è rosso

Il mattino è dall’aria fresca
Le nubi sono basse
La casa all’orizzonte è chiusa
La montagna innevata si nasconde
Il pensiero ricerca
Lo scritto ha le lettere contate
La singola parola va corretta
Il periodo semplificato
I caloriferi sono accesi
Il camino lascia spazio allo sguardo
Si ricorda la baita
Si ascolta la pioggia che cade sul tetto
Non si cerca distrazioni
Non si vuole perdere l’ispirazione
Si scrive il paper
Si dà un suggerimento
Si lavora in silenzio
Si ode qualcosa
Il torrente è gonfio
L’aria ha il profumo di nostalgia
Manca ciò che si desidera di più
E’ finita l’estate
Si sta colorando l’autunno
Il ciliegio era in fiore
Il ciliegio è rosso
Si torna a casa…

venerdì 3 ottobre 2014

Il principe ranocchio








Nei tempi antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa, c'era un re, le cui figlie erano tutte belle, ma la più giovane era così bella che perfino il sole, che pure ha visto tante cose, sempre si meravigliava, quando le brillava in volto. Vicino al castello del re c'era un gran bosco tenebroso e nel bosco, sotto un vecchio tiglio, c'era una fontana: nelle ore più calde del giorno, la principessina andava nel bosco e sedeva sul ciglio della fresca sorgente; e quando si annoiava, prendeva una palla d'oro, la buttava in alto e la ripigliava; e questo era il suo gioco preferito.




Ora avvenne un giorno che la palla d'oro della principessa non ricadde nella manina ch'essa tendeva in alto, ma cadde a terra e rotolò proprio nell'acqua. La principessa la seguì con lo sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita d'occhio. Allora la principessa cominciò a piangere, e pianse sempre più forte, e non si poteva proprio consolare.



E mentre così piangeva, qualcuno le gridò: "Che hai, principessa? Tu piangi da far pietà ai sassi."



Ella si guardò intorno, per vedere donde venisse la voce, e vide un ranocchio, che sporgeva dall'acqua la grossa testa deforme. "Ah, sei tu, vecchio sciaguattone!" disse, "piango per la mia palla d'oro, che m'è caduta nella fonte." "Chétati e non piangere," rispose il ranocchio, "ci penso io; ma che cosa mi darai, se ti ripesco il tuo balocco?" "Quello che vuoi, caro ranocchio," diss’ella, "i miei vestiti, le mie perle e i miei gioielli, magari la mia corona d'oro."



Il ranocchio rispose: "Le tue vesti, le perle e i gioielli e la tua corona d'oro io non li voglio: ma se mi vorrai bene, se potrò essere il tuo amico e compagno di giochi, seder con te alla tua tavolina, mangiare dal tuo piattino d'oro, bere dal tuo bicchierino, dormire nel tuo lettino: se mi prometti questo; mi tufferò e ti riporterò la palla d'oro."



"Ah sì," diss’ella, "ti prometto tutto quel che vuoi, purché mi riporti la palla." Ma pensava: «Cosa va blaterando questo stupido ranocchio, che sta nell'acqua a gracidare coi suoi simili, e non può essere il compagno di una creatura umana!». Ottenuta la promessa, il ranocchio mise la testa sott'acqua, si tuffò e poco dopo tornò remigando alla superficie; aveva in bocca la palla e la buttò sull'erba. La principessa, piena di gioia aI vedere il suo bel giocattolo, lo prese e corse via.



"Aspetta, aspetta!" gridò il ranocchio: "prendimi con te, io non posso correre come fai tu." Ma a che gli giovò gracidare con quanta fiato aveva in gola! La principessa non l'ascoltò, corse a casa e ben presto aveva dimenticata la povera bestia, che dovette rituffarsi nella sua fonte.



Il giorno dopo, quando si fu seduta a tavola col re e tutta la corte, mentre mangiava dal suo piattino d'oro - plitsch platsch, plitsch platsch - qualcosa salì balzelloni la scala di marmo, e quando fu in cima bussò alla porta e gridò: "Figlia di re, piccina, aprimi!" Ella corse a vedere chi c'era fuori, ma quando aprì si vide davanti il ranocchio. Allora sbatacchiò precipitosamente la porta, e sedette di nuovo a tavola, piena di paura. Il re si accorse che le batteva forte il cuore, e disse: "Di che cosa hai paura, bimba mia? Davanti alla porta c'è forse un gigante che vuol rapirti?" "Ah no," rispose ella, "non è un gigante, ma un brutto ranocchio." "Che cosa vuole da te?" "Ah, babbo mio, ieri, mentre giocavo nel bosco vicino alla fonte, la mia palla d'oro cadde nell'acqua. E perché piangevo tanto, il ranocchio me l'ha ripescata; e perché ad ogni costo lo volle, gli promisi che sarebbe diventato il mio compagno; ma non avrei mai pensato che potesse uscire da quell'acqua. Adesso è fuori e vuol venire da me."



Intanto si udì bussare per la seconda volta e gridare: "Figlia di re, piccina, aprimi! Non sai più quel che ieri m'hai detto vicino alla fresca fonte? Figlia di re, piccina, aprimi!" Allora il re disse: "Quel che hai promesso, devi mantenerlo; va' dunque, e apri". Ella andò e aprì la porta; il ranocchio entrò e, sempre dietro a lei, saltellò fino alla sua sedia. Lì si fermò e gridò: "Sollevami fino a te." La principessa esitò, ma il re le ordinò di farlo. Appena fu sulla sedia, il ranocchio volle salire sul tavolo e quando fu sul tavolo disse: "Adesso avvicinami il tuo piattino d'oro, perché mangiamo insieme." La principessa obbedì, ma si vedeva benissimo che lo faceva controvoglia. Il ranocchio mangiò con appetito, ma a lei quasi ogni boccone rimaneva in gola. Infine egli disse: "Ho mangiato a sazietà e sono stanco; adesso portami nella tua cameretta e metti in ordine il tuo lettino di seta: andremo a dormire."



La principessa si mise a piangere: aveva paura del freddo ranocchio, che non osava toccare e che ora doveva dormire nel suo bel lettino pulito. Ma il re andò in collera e disse: "Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno." Allora ella prese la bestia con due dita, la portò di sopra e la mise in un angolo. Ma quando fu a letto, il ranocchio venne saltelloni e disse: "Sono stanco, voglio dormir bene come te: tirami su, o lo dico a tuo padre." Allora la principessa andò in collera, lo prese e lo gettò con tutte le sue forze contro la parete: "Adesso starai zitto, brutto ranocchio!" Ma quando cadde a terra, non era più un ranocchio: era un principe dai begli occhi ridenti. Per volere del padre, egli era il suo caro compagno e sposo. Le raccontò che era stato stregato da una cattiva maga e nessuno, all'infuori di lei, avrebbe potuto liberarlo. Il giorno dopo sarebbero andati insieme nel suo regno. Poi si addormentarono.



La mattina dopo, quando il sole li svegliò, arrivò una carrozza con otto cavalli bianchi, che avevano pennacchi bianchi sul capo e i finimenti d'oro; e dietro c'era il servo del giovane re, il fedele Enrico. Il fedele Enrico si era così afflitto, quando il suo padrone era stato trasformato in ranocchio, che si era fatto mettere tre cerchi di ferro intorno al cuore, perché non gli scoppiasse dall'angoscia. Ma ora la carrozza doveva portare il giovane re nel suo regno; il fedele Enrico vi fece entrare i due giovani, salì dietro ed era pieno di gioia per la liberazione. Quando ebbero fatto un tratto di strada, il principe udì uno schianto, come se dietro a lui qualcosa si fosse rotto. Allora si volse e gridò: "Rico, qui va in pezzi il cocchio!"



"No, padrone, non è il cocchio,

bensì un cerchio del mio cuore,

ch'era immerso in gran dolore,

quando dentro alla fontana

tramutato foste in rana."



Per due volte ancora si udì uno schianto durante il viaggio; e ogni volta il principe pensò che il cocchio andasse in pezzi; e invece erano soltanto i cerchi, che saltavano via dal cuore del fedele Enrico, perché il suo padrone era libero e felice.



Be... notevole la fiaba, ma incredibile il pupazzo!
E' il regalo per un bambino... ma lo voglio anch'io!

venerdì 26 settembre 2014

Forse è il team giusto quello con cui lavoro... EVVIVA!



26-Sep-2014

Dear Dr. Mauri:

Congratulations! It is a pleasure to accept your manuscript entitled 
"ITALIAN MIDWIVES' EXPERIENCE TOWARDS LATE TERMINATION OF PREGNANCY. A 
PHENOMENOLOGIC-HERMENEUTIC STUDY" for publication in Nursing and Health 
Sciences. 

.

Thank you for your fine contribution.  On behalf of the Editors of the 
Nursing and Health Sciences, we look forward to your continued contributions 
to the Journal.

Yours sincerely,

Professor Teresa Stone
Editor-in-Chief, Nursing & Health Sciences




mercoledì 17 settembre 2014

Madama Butterfly

Ho finito di lavorare e mi dirigo verso la stazione della metropolitana per tornare a casa. Ho appena attraversato via Larga e sono già in Piazza Fontana. Cammino a lunghe falcate perché non voglio attardarmi sul percorso. Svolto a sinistra e mi rallegro dello spettacolo del Duomo che mi accingo ad affiancare. Ad un tratto mi stupisco di sentire nitidamente una voce di donna che canta. E’ una voce impostata, difficilmente una radio o un qualsiasi mezzo di diffusione del suono potrebbe trasmettere così limpidamente. Continuo a procedere lesta anche se la curiosità inizia a rallentarmi. Sono già all’altezza della porta laterale della Cattedrale e la melodia continua a tenere il volume. Ora che è qualche istante che l’ascolto, distinguo che si tratta di Opera … Puccini!? Non intendo bene le singole parole, ma potrebbe essere il dramma di Madama Butterfly. Impossibile … Torno indietro e cerco di scorgere la fonte. Finalmente la vedo, il soprano è una donna sulla sessantina, ben vestita, dignitosa, che senza microfoni si nasconde ai piedi dell’abside. Sotto i raggi del sole di marmo della vetrata che chiude la navata centrale, sull’esterno, libera dalle amplificazioni per l’acustica, la donna continua a cantare. E’ incredibile poter apprezzare le note di un’arte che ai più non interessa, sotto il cielo di un tardo pomeriggio. Ormai sono ferma. Il fascino e la commozione trasportano il mio pensiero lontano. Vorrei cercare di capire perché si arriva ad accettare di usare un mondo indifferente come palcoscenico e mi  immobilizzo. Riesco solo a recuperare alcune monete che ho nel borsellino per lasciarle nel sacchetto riposto a pochi metri dall’artista, in attesa di incrociare lo sguardo degli occhi di lei. E’ allora che rivedo in un attimo tutta la bellezza di cui mi è stata data la fortuna di godere oggi. E dopo ciò - affidando quella donna al Santo protettore degli artisti che sicuramente è elevato su una delle guglie che la sovrasta - mi metto in marcia per ripartire.

domenica 14 settembre 2014

Un Barolo annata '67

Si susseguono mattini in cui il risveglio pone una domanda sincera: perché vale la pena alzarmi?
La risposta è interessante, perché non si proietta nel futuro, non si quieta in una progettualità come verrebbe da pensare: devo fare, ho programmato di riuscire a, devo realizzare di … Questa posizione indurrebbe solo agitazione.
Bensì, la risposta pacificante e stimolante, attinge dall’esperienza passata. Si alimenta di memoria.
E’legata ad uno sguardo un tempo sconosciuto che so essermi diventato amico; è per un viaggio che potrebbe stancare, che al contrario mi ha riposata; è per una cena inaspettata a vista lago; è per una dormita in montagna quando pensavo che le vacanze fossero finite; è per una colazione possibile perché mi era già stato offerto del pane, ma per la quale successivamente qualcuno ha pensato di comprarmi una briosce; è perché pur essendo cittadina doc mi è dato di cogliere prugne direttamente dall’albero; è perché il silenzio permette di dire cose che altrimenti non potrei dire; è perché posso consegnare un pensiero e rimettere le cose nella giusta dimensione; è legata al ritorno a casa e a chi mi aspetta anche se non aveva capito che tornavo presto; è l’azzurro del cielo che porta il calore sulle spalle; è un esame lungo lungo che diventa ancora più lungo perché una studentessa trova modo di aprirsi; è un trenta e lode dato con tutte le ragioni; è un ventinove per qualcuno a cui avrei voluto dare trenta; è vedere sedute a cerchio sul prato della Guastalla le ostetriche di domani; è guardare la compagnia delle donne che mi sono date; è riuscire a pranzare sul balcone perché è una domenica di sole; è la ricerca del bello che avevo iniziato ad intravvedere ieri e di cui posso essere più certa oggi.
La risposta pacificante a quel grido del mattino - per me - è proprio perché se guardo con attenzione, è già accaduto qualcosa che non mi ero aspettata. Qualcosa, quando non me lo sarei aspettata. Qualcosa di più di quello che mi ero aspettata.
E’ legata al fatto che - come succede ad un vino “buono” - come un Barolo annata ’67 – è tanto più “ricco”, tanto più invecchia, tanto più “interiorizza ciò che è stato portato dal tempo che passa”.
E’ legata al fatto che sia che lo voglia - sia che non lo voglia - in realtà mi è stato promesso qualcosa. E’ legata al fatto che esiste il “centuplo” e alla fine di ogni giorno guardando a quello che accade, posso riconoscere d’averlo sperimentato … o quantomeno, d’averlo visto!

La ragione di vivere è già “nella carne”, è solo da riconoscere che anche oggi la sto cercando.



domenica 13 luglio 2014

Di Nuovo in Gioco



Un padre, una figlia. Orfani; cercano il primo di proteggere l'altra, e l'altra di piacere al primo. Così facendo però, non possono essere liberi di essere loro stessi e non riescono a comprendersi. Il baseball fa da primo interprete e un lanciatore "bruciato" fa da spalla. Il film è piacevole, e la domenica pomeriggio si prestava al relax.

venerdì 11 luglio 2014

Levatrice

Venticinque anni che faccio un lavoro meraviglioso: “entrare nel mondo donna”.
Quante ne avrò incontrate di donne, di mamme, di famiglie. Non lo saprò mai, perché non ho tenuto il conto, e di questo un po’ mi dispiace. Ma quello che mi dispiace di più è che non mi è possibile ricordare ogni singola assistenza. Ieri sono stata fermata, prima di scendere al piano seminterrato dove lavoro, da un’ausiliaria. Una donna che vedo spesso, che mi sorride sempre, che è solare come la sua divisa arancione. Dopo il canonico saluto legato all’incontro, insolitamente mi ferma. Ha il coraggio di dirmi: “Mio figlio compie oggi ventuno anni, sai, è nato ventuno anni fa alla una di notte… e al parto mi hai assistito tu. Ma tu non ti ricordi, chissà quante ne hai viste!?”
Mi commuovo. Mi sento toccata su corde profonde. Mi interrogo: avrò fatto bene quello che c’era da essere?
Mi faccio coraggio e le chiedo: “Che bello! Hai un bel ricordo!? Com’è tuo figlio adesso?”
Mi apre la galleria del suo iPhone e mostra la foto di un giovane uomo sorridente, che fa l’occhiolino e con il dito esprime l’ok.
Mi sforzo di far emergere dalla mente il momento in cui ho preso in braccio quel neonato. Cerco di ricordarmi del suo primo vagito, di quando l’ho affidato alle mani tese di questa mamma che adesso sostiene un telefonino. Ho forse una vaga reminescenza.
Sono interrotta nel pensiero perché la donna riprende: “Si, ho un bel ricordo, eri tranquilla, mi hai dato fiducia, è andato tutto bene”. Ecco, finalmente si scioglie il mio timore di smemore: il mio lavoro è per salvaguardare che vada tutto bene, e quella volta è andato tutto bene. Ma il vero bene non è perche ventuno anni fa lei è rimasta contenta, il bello è che lei e suo figlio sono contenti ora. Io ho solo aiutato a mettere un mattone, perché si possa esprimere vita.
Questo non è solo chiesto al mio lavoro da professionista.
Credo che questo sia un po’ l’amare.
Credo che questo sia un po’ lo scopo stesso del vivere.
Dare l’opportunità all’altro, di riconoscere un’intensità di vita.
La prossima settimana torno in sala parto. Sono quasi finiti gli esami e riesco a trovare un po’ di tempo per insegnare sul campo. Mi manca la trincea, anche se un po’ mi intimorisce sempre, perché la domanda è la stessa ogni volta: farò bene ciò che è da essere?

E’ un’incognita che va affidata.
Non posso fare a meno di accettare la sfida del vivere.
Non voglio ridurre la possibilità di imparare ad amare.


domenica 15 giugno 2014

Una sera di festa

Il pomeriggio piovoso di una domenica estiva, si prestava nel mio immaginario, ad un tempo premiato da una serie di vasche nella calda piscina a cui sono iscritta; ma come i pensieri vanno quando e dove vogliono - con difficile successo al tentativo di arginarli - così all’ispirazione per lo scrivere non posso comandare, e se lo scelgo, posso solo soggiacere.
E’ così che questo grigio e malinconico pomeriggio, si è trasformato in un rapporto serrato con la tastiera e con la testa, per estrapolare a lettere nere su foglio bianco in proiezione, la traccia del prossimo articolo, che inizia così ad avere una forma - oltre che un database.
Mi sono lasciata introdurre dagli autori studiati durante il dottorato, per poi scorrere gli articoli più recenti e scaricati via web nelle scorse settimane. PubMed ha aperto la mattinata … e forse proprio per il messaggio che ha dato imprinting al tempo di oggi, PubMed chiude il tempo di studio con la serata.
Ora, prima che termini il lavoro sui tasti - così come ho scelto di arrendermi al fervore amanuense per il paper - perché non continuare con una creatività per il blog?
In fondo in fondo, il blog rende pubblico ciò che già è, o che vorrei che fosse.
Pertanto insisto.

Quando ero piccola il mio pensiero scritto era su una carta, rilegata con una copertina rigida e quadrata, tenuta da un lucchetto d’oro, di cui persi quasi subito la chiave - per cui il segreto non fu mai. Ora il diario è in uno spazio digitale che viene definito virtuale, ma che forse rende possibile esercitare una passione che a non tutti è cara: scrivere. Pertanto scrivo. Scrivo le parole che chiudono un giorno di festa, che lascia al tempo di domani, di dire quello che oggi non sono riuscita. E ora che l’istante sarà riposo del corpo - se possibile - che sia anche riposo di pensiero.

EVVIVA!

E anche questo è finalmente pubblico!
Eureka!

venerdì 23 maggio 2014

Nostalgia


Nostalgia di montagna da quando sono nata
Nostalgia di mare da quando so che esiste la torre di Porto Selvaggio
Nostalgia della neve quando è estate
Nostalgia del sole quando piove
Nostalgia dei fiori d’inverno
Nostalgia dei colori quando è grigio
Nostalgia di dolce quando sono stanca
Nostalgia di salato se penso all’agriturismo
Nostalgia di buona musica quando c’è rumore
Nostalgia di silenzio quando tutti parlano insieme
Nostalgia di tecnologia quando le cose non funzionano
Nostalgia di scrivere una lettera per scrivere qualcosa di importante
Nostalgia di un parto se sto facendo troppa teoria
Nostalgia di un bel libro se sono troppo affaccendata
Nostalgia di casa se sto girando a vuoto
Nostalgia di un viaggio se cerco la bellezza
Nostalgia d’arte se la bruttura mi urta
Nostalgia di natura se tutto è troppo costruito
Nostalgia al mattino
Nostalgia alla sera
Nostalgia vera
Nostalgia profonda
Nostalgia di te

lunedì 21 aprile 2014

S. Pasqua 2014

Sono partita per la montagna dopo un ripetersi di giornate in cui il cielo aveva assunto un colore settembrino e la città tersa lasciava intravvedere all'orizzonte spettacoli da riscoprire.
Speravo nella stessa opportunità a quote più alte e il Giovedì Santo prima della S. Pasqua mi ha esaudita.
Vedere oltre il guardare lo davo legato al non avere impedimenti nel farlo o all'aria trasparente, ma l’arrestarmi sotto al ciliegio in fiore di quella salita che porta alla Chiesetta di S. Clemente, e il pensare che la mia fotografia poteva memorizzarlo così come fece Van Gogh, mi ha aperto un nuovo spazio di comprensione.
Ora cerco di farmi intendere con un parallelismo.
Sbucciando l’arancia, solitamente penso: ho fame, ho sete, potrò soddisfare la mia fame o la mia sete … o forse solamente la mia “gola”. Non mi era mai capitato di constatare: “che bella!” Altrimenti detto: “Che audacia creativa, che perfezione, che colore racchiusi in una sfera di buccia ... che buona”.
Ecco, questa cosa l’ho fatta oggi, davanti all'arancia delle dieci del mattino, ricordandomi quello che mi è successo sotto al ciliegio. Di fatto “lo stupore vero è fatto di memoria, non di novità”.*
Pertanto, la reale soddisfazione, così come la vera e tormentata arte di Van Gogh, non sono legate ad un superficiale appagamento di un bisogno temporizzato. Lo stupirmi e il trattenere un’esperienza costruttiva, sono vincolate dal tentativo di individuare in quei rami tempestati unicamente da fiori fruttiferi che si stagliano nel turchino, che “la vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale ci si accorge che esso combacia con il proprio destino e si trova la pace”* che permette di poter continuare a vivere la vita, come ricerca del senso del vivere.
Così tutto diventa realmente pasquale – cioè - risurrezione del “Bello”.


*C. Pavese “Il mestiere di vivere”


venerdì 28 marzo 2014

Chesterton (citazione)

Tutte le cose buone sono una cosa sola. Tramonti, correnti filosofiche, bambini, costellazioni, cattedrali, l'opera, montagne, cavalli, poesie - tutti questi sono solo travestimenti. Qualcosa cammina sempre tra noi con abiti mascherati, indossa il mantello grigio di una chiesa o il mantello verde di un prato. Lui è sempre lì dentro, la Sua forma riempie le pieghe in un modo così superbo.

martedì 25 marzo 2014

Nove mesi prima...

Un giorno speciale nove mesi prima di un altro giorno speciale.
Se avessi potuto io decidere di incarnarmi, perché l’avrei fatto?
Forse per dimostrare la possibile indissolubilità della diversità di un uomo e una donna, che ormai su questa terra si contesta.
Forse per arrivare a toccare la realtà fisicamente, quando si rischia di accontentarsi del virtuale.
Forse per dimostrare che ciò che costruisce in questo mondo - che se è per se stesso implode - è solo l’amore.
Forse per perpetrare qualcosa dei miei avi: è così evidente di fronte alla morte che ciascuno lotta per l’immortalità.
Forse per essere grata della vita; quando troppo spesso ci si dimentica della bellezza che è.

In realtà non ho scelto io di incarnarmi, ma Chi lo ha permesso - e lo ha fatto all’Origine - ha anche reso possibili tutti i "forse" di quello che è desiderabile.

lunedì 17 marzo 2014

Una bella giornata

Oggi, una bella giornata.
Sarà perché ieri sera il mio cuore si è addormentato sazio.
Sarà perché la notte ho dormito profondo.
Sarà perché stamattina il cielo era di un colore speciale.
Sarà perché sono riuscita a fare tutto quello che mi hanno chiesto di fare, tranne quello che avevo programmato.
Sarà perché ho rimandato il mio pranzo a fine giornata con un buon gelato.
Sarà perché la Madonnina in cima al Duomo brillava.
Sarà perché il sole mi ha scaldato alle spalle tutto il tragitto.
Sarà perché la bellezza è solo da riconoscere.
Oggi è una bella giornata.

domenica 2 marzo 2014

Coperture pneumatiche

Oggi mi sono distratta quando attratta da un avvenimento ho iniziato a fissare cosa stava succedendo e pertanto sono rimasta a guardare.
Entra una carrozzina motorizzata di quelle per handicappati. Sopra è seduta in un modo tutto tranne che comodo, una donna che ha un'età indefinibile. La donna ha al seguito una madre e un padre - apparentemente settantenni - che la incoraggiano e le sorridono.
La donna guidatrice accosta la carrozzina alla panca.
La madre e il padre si accomodano sulla panca scelta dalla figlia, ma la carrozzina resta evidentemente troppo lontana dalla panca.
Comincia una sapiente manovra di andata e ritorno, andata e retromarcia, retromarcia e marcia... per avvicinare il più possibile - fisicamente - la propria persona al corpo di coloro dai quali ci si sente amati.
L'affaccendarsi sembra funzionare, ma ad un tratto la ruota comincia a rimbalzare contro la panca.
Lo spazio dei pneumatici impedisce il contatto ricercato e l'effetto bumerang invece di ottenere solidarizzazione (come si direbbe in ostetricia), desolidarizza.
E' un dolore che comprendo: la ricerca di qualcosa che le coperture pneumatiche rendono impossibile, o forse che tutta la vita cerca come risoluzione dell'impossibile distanza da chi amiamo, che non può essere sopportata neanche per un'ora domenicale che sembra incollare.
Quante manovre per accettare che forse la vittoria sullo spazio è data da qualcosa - che per i più - resta intangibile.

giovedì 20 febbraio 2014

Ieri... per concedersi anche un film





Giornata per pensare:

è giornata che permette di guardare anche un bel film,

un film bello perchè chi interpreta cerca la verità,

e cercare la verità è ragione per una giornata per pensare.

giovedì 23 gennaio 2014

Discussioni tra feti... o tra uomini?


Nell’utero di una donna gravida gemellare si trovavano due fratellini gemelli identici. Ormai vicini al termine della gravidanza iniziavano a trattare argomenti di discussione sempre più articolati.

“Tu credi nella vita dopo che saremo fuori da qui? Diciamo dopo il parto?”.
“Certo. Qualcosa dopo il parto c’è sicuramente e noi siamo qui dove siamo proprio per prepararci a quello; a quello che verrà dopo”.
“Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Anche perché come potrebbe essere la vita? Sarebbe impossibile per noi vivere così come siamo!”
“A questa domanda non so rispondere. Non so, ma sicuramente so - perché in parte già vedo - che ci sarà più luce che qua dentro, anche perché la luce se guardi bene viene da fuori. E poi magari avremo più spazio per le braccia e per le gambe e per altre cose che adesso sappiamo di avere ma non riusciamo a capire cosa potrebbero servire … Magari cammineremo con le nostre gambe, correremo e giocheremo a calcio o potremo gustare cose deliziose con la bocca… visto che adesso scalciamo e assaporiamo lo zucchero del liquido amniotico”.
“Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca qualcosa di diverso da quello che riusciamo a bere? Ridicolo! E’ solo il cordone ombelicale che ci porta vita … anzi, ci dice anche che la vita dopo il parto è da escludere, perché è troppo corto per arrivare fuori da qui”.
“Invece io credo che debba esserci qualcosa. Certo, sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere già, sarà di più. In fondo qui dentro ci sei solo tu, e io ti voglio bene… ma io capisco che vorrei voler bene di più, e magari a qualcuno di un po’ diverso da me stesso …”.
“O quante storie, nessuno è mai venuto da un posto fuori da qui, nessuno è tornato dopo il parto a dirci cosa c’è fuori e poi come fai a sapere che può esserci qualcuno con la faccia o con il corpo diverso dal nostro? Sono tutte tue immaginazioni. Uscire da qui sarà la fine della vita e in fin dei conti, la vita non è altro che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla”.
“Beh, ti confermo che io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente capisco che vedremo almeno la mamma e che lei si prenderà cura di noi”.
“Mamma? Tu credi nella mamma? E perché se c’è non si fa vedere adesso?”
“Che sciocco che sei. Certo che si fa vedere già da adesso … è tutta intorno a noi, ci contiene! E’ in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei il nostro mondo non esisterebbe. Da chi pensi che siano fatte queste pareti?”
“Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista”.
“Ma scusa, quando a volte - soprattutto quando siamo in silenzio - si riesce a sentire la voce, a percepire la sua carezza attraverso la parete che ci avvolge. Tu cosa pensi? E’ lei che ci parla e accarezza il nostro mondo. E poi sento anche un’altra voce, più profonda, più forte, che spesso le sta vicino vicino… e sento anche della musica e dei rumori. Io credo ogni giorno di più che ci sia una vita fuori da qui, che ci aspetta qualcosa di grande, che le nostre mani potranno costruire qualcosa di bello, abbracciare e che potremo fare per essere sempre più contenti!”.
“Sarà, ma io non mi fido e cerco di non pensare. Vedo solo quello che vedo e del mio cuore ascolto solo che batte. Non mi interessa scervellarmi o illudermi, non voglio restare deluso e faccio finta di niente”.

Ma un giorno iniziarono le contrazioni e un intenso massaggio ritmico e inesorabile costrinse i gemellini ad affacciarsi alla luce del canale del parto.
Il primo ad essere partorito fu proprio il fratellino scettico, che trovatosi improvvisamente accolto dalle mani dell’ostetrica che lo appoggiarono delicatamente tra le braccia della mamma e i baci del papà, piangendo irrefrenabilmente cominciò ad urlare:

“E’ tutto vero! Avevi ragione! Sbrigati a venire fuori … pigrone!”

domenica 5 gennaio 2014

sabato 4 gennaio 2014

Cose belle

Cosa c’è di meraviglioso quali una colazione o un pranzo in compagnia? Il panorama delle montagne che si lasciano accarezzare dal sole o dalla neve. Non so se è meglio il sole o la neve… so quale compagnia preferisco per la prima o seconda colazione e so che mi fa impazzire che il sole e la neve si associno, ma so altrettanto bene che non sempre le cose si riesce a gemellarle come si vorrebbe. Di fatto quando la neve fiocca a larghe falde è impossibile che sia presente anche il sole; o quando il pranzo ha da essere fugace si possa godere della compagnia. In ogni caso la neve quieta il mio animo, mi permette di raggiungere una certa soddisfazione che pochi momenti riescono ad equiparare (tra i quali - ad esempio – una colazione condivisa o un pranzo partecipato). Ma forse sia la neve a cielo coperto, che un desinare in solitudine lasciano lo spazio alla certezza di una presenza che va oltre le cose apparenti e che rende speciali sia la neve che il cibo. Pertanto mi arrendo: la bellezza è sempre l’apertura a un complesso.