Sono partita per la montagna dopo un ripetersi di giornate
in cui il cielo aveva assunto un colore settembrino e la città tersa lasciava
intravvedere all'orizzonte spettacoli da riscoprire.
Speravo nella stessa opportunità a quote più alte e il
Giovedì Santo prima della S. Pasqua mi ha esaudita.
Vedere oltre il guardare lo davo legato al non avere
impedimenti nel farlo o all'aria trasparente, ma l’arrestarmi sotto al ciliegio
in fiore di quella salita che porta alla Chiesetta di S. Clemente, e il pensare
che la mia fotografia poteva memorizzarlo così come fece Van Gogh, mi ha aperto
un nuovo spazio di comprensione.
Ora cerco di farmi intendere con un parallelismo.
Sbucciando l’arancia, solitamente penso: ho fame, ho sete,
potrò soddisfare la mia fame o la mia sete … o forse solamente la mia “gola”.
Non mi era mai capitato di constatare: “che bella!” Altrimenti detto: “Che
audacia creativa, che perfezione, che colore racchiusi in una sfera di buccia ... che buona”.
Ecco, questa cosa l’ho fatta oggi, davanti all'arancia delle
dieci del mattino, ricordandomi quello che mi è successo sotto al ciliegio. Di
fatto “lo stupore vero è fatto di memoria, non di novità”.*
Pertanto, la reale soddisfazione, così come la vera e
tormentata arte di Van Gogh, non sono legate ad un superficiale appagamento di
un bisogno temporizzato. Lo stupirmi e il trattenere un’esperienza costruttiva,
sono vincolate dal tentativo di individuare in quei rami tempestati unicamente
da fiori fruttiferi che si stagliano nel turchino, che “la vita non è ricerca
di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale ci si
accorge che esso combacia con il proprio destino e si trova la pace”* che
permette di poter continuare a vivere la vita, come ricerca del senso del
vivere.
Così tutto diventa realmente pasquale – cioè - risurrezione
del “Bello”.
*C. Pavese “Il mestiere di vivere”
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