È venuto prima l’uovo o la gallina?
Questo è veramente difficile. In ogni caso - ragionando - visto che alcuni sostengono che i dinosauri si sono estinti in quanto ovipari e quindi per la mancanza di cova, legata alla mancanza delle madri che erano morte, per la mancanza di cibo per la competizione alimentare… possiamo azzardare che è venuta prima la gallina dell’uovo e che se rimanessero solo uova - in un mondo senza incubatrici - si estinguerebbero anche le galline.
È nata prima l’ostetrica o la partoriente?
Questo è più facile. In ogni caso – per certezza - visto che i più sostengono che le ostetriche sono cicogne travestite e che senza le cicogne è impossibile che arrivino i bambini e quindi che arrivino bambine – femmine – e quindi che le femmine crescano e quindi che queste a loro volta possano arrivare ad essere partorienti… possiamo decretare che è nata prima l’ostetrica della partoriente e che se esistessero solo partorienti – in un mondo senza favole – si estinguerebbero anche le ostetriche.
È più bello guardare gli uomini che giocano a pallavolo o è più bello guardare una partita di pallavolo giocata dagli uomini?
Questo è facilissimo. In ogni caso – osservando - e basta stare mezz’ora ai giardini della Guastalla – visto che tutti sanno che nel lontano 1986 uscì un film che usò del volo degli aerei per far notare un attore che ai tempi aveva solo 24 anni, che si poteva permettere di simulare di saper giocare a pallavolo e che a me che avevo diciannove anni non ha lasciato indifferente che abbandonasse il campo prima del match point… si può dedurre che è più bello guardare gli uomini che giocano a pallavolo che guardare una partita di pallavolo giocata da uomini e che se non esistesse il gioco – in un mondo senza regole – si estinguerebbero anche gli uomini.
È più facile capire una donna o risolvere un rompicapo?
Questo è ancora più facile del facilissimo. Perché in ogni caso - ed essendo una donna lo so – basta non provarci; siamo un mistero bellissimo e l’unica cosa che potete fare è amarci.
martedì 29 maggio 2012
giovedì 24 maggio 2012
mercoledì 23 maggio 2012
Costruttori di Cattedrali (1)
Ieri, alle sette del mattino, passando come mio solito da Piazza Duomo, ho visto affaccendarsi nel montaggio di una gru lunga come una navata, diversi uomini protetti da elmetto. Li ho guardati con curiosità. Come tante piccole formiche intorno ad una enorme briciola di pane, tirando di qua e tirando di là, si coordinavano per arrivare all’obbiettivo del loro brulicare. Già nel pomeriggio, quando sono ripassata dalla stessa strada, la gru perfettamente costruita sfruttando l’orizzontalità degli spazi, era pronta per essere innalzata verso il cielo. L’ho guardata con stupore, chiedendomi che punto nell’altezza avrebbe raggiunto. Forse come le guglie più alte della Chiesa simbolo della Città? Stamattina, gli stessi uomini-formica attraevano lo sguardo mio e di altri passanti, perché la gru levata in alto, superava in altitudine la Madonnina d’oro che tutti i milanesi amano, lasciando i minuscoli operai ai Suoi piedi, come tanti nanerottoli intorno ad una sequoia, o forse meglio, come tanti uomini devoti in atteggiamento di adorazione.
Ho osservato con attenzione e ho colto che l’enorme marchingegno era pronto ad elevare diversi pezzi di marmo. Pezzi di quel marmo di Carrara che è ormai ad uso esclusivo della fabbrica del Duomo, e che perfettamente cesellati, sarebbero stati sollevati fino a raggiungere l’altezza più vicina alla loro collocazione. Ho considerato con commozione quegli uomini costruttori di Cattedrali, così come sono stati costruttori di Cattedrali gli uomini che li hanno preceduti, e così come anche io desidero essere costruttrice di Cattedrali. Ma non solo io, tutti gli uomini desiderano questo. E di ciò sono stata confermata oggi pomeriggio, quando ripassando sempre dalla stessa strada, ormai francamente costretta dalle transenne, ho notato quel poliziotto municipale che con la sua istantanea, fotografava con cura quei frammenti di sculture illuminate dal sole e pronte per il viaggio di destinazione. Ogni scatto era un attaccarsi alla pietra, così da potersi elevare con lei, così da immortalare l’immagine del desiderio infinito, quel desiderio infinito di bellezza; la bellezza di collaborare alla sacra costruzione.
Ho osservato con attenzione e ho colto che l’enorme marchingegno era pronto ad elevare diversi pezzi di marmo. Pezzi di quel marmo di Carrara che è ormai ad uso esclusivo della fabbrica del Duomo, e che perfettamente cesellati, sarebbero stati sollevati fino a raggiungere l’altezza più vicina alla loro collocazione. Ho considerato con commozione quegli uomini costruttori di Cattedrali, così come sono stati costruttori di Cattedrali gli uomini che li hanno preceduti, e così come anche io desidero essere costruttrice di Cattedrali. Ma non solo io, tutti gli uomini desiderano questo. E di ciò sono stata confermata oggi pomeriggio, quando ripassando sempre dalla stessa strada, ormai francamente costretta dalle transenne, ho notato quel poliziotto municipale che con la sua istantanea, fotografava con cura quei frammenti di sculture illuminate dal sole e pronte per il viaggio di destinazione. Ogni scatto era un attaccarsi alla pietra, così da potersi elevare con lei, così da immortalare l’immagine del desiderio infinito, quel desiderio infinito di bellezza; la bellezza di collaborare alla sacra costruzione.
venerdì 18 maggio 2012
Cineteca
Due film negli ultimi dieci giorni. Entrambi segnati dall’ironia. Più fine nell'uno e più grassa nell'altro. Mentre il primo vive il dramma dell’uomo che riconosce che il suo handicap non è per il limite delle possibilità del corpo, ma è legato al desiderio infinito e insoddisfatto di essere voluto bene senza pietismi (ed è una storia vera), il secondo ha una regia decisamente spinta al sarcasmo guardando all’uomo e alla donna che possono essere mostri assetati di sangue, potere e possesso (ed è tutto finto). Che dire, il primo mi ha fatto pensare, il secondo mi ha fatto ridere. Buona visione.
mercoledì 16 maggio 2012
Mattina di Maggio
Dopo una notte tormentata dal vento, il risveglio difficile è spettacolo per i sensi.
La luce che entra dalla porta-finestra che si apre sulla città è tersa. Fin dalle prime ore del mattino risulta essere abbagliante. Non lascia nascosto nessun particolare, illumina tutto con precisione rilucente. Man mano che mi incammino il chiarore lascia intravvedere cose che non avevo mai notato; come quello scorcio del campanile di Santo Stefano, che si staglia perfettamente nel centro dell’intersezione dei tetti di coppi embricati di via Laghetto.
La stessa luce, dà vigore ai colori. Colori che la città smunta dal grigio occulta, ma che risplendenti si fanno notare: l’azzurro del cielo, il rosa del Duomo, il rosso dei palazzi di via Francesco Sforza, il giallo della Villa insieme al verde della Catalpa nei Giardini della Guastalla e l'arancione delle tovaglie dei tavolini di un bar di via Dante.
Ma la cosa più bella è apprezzare i profumi e le sensazioni che il vento libera dai contesti. Il dolce gelsomino mi ricorda di essere serena. La fragranza di briosce mi fa ricordare la compagnia che amo. Il pelucco di pioppo che vola fino al naso, mi fa rivivere l’abbraccio della neve.
Insomma, forse quel gran mal di testa che il vento mi ha destato è stato ripagato… e forse… mi è anche un po’ passato.
La luce che entra dalla porta-finestra che si apre sulla città è tersa. Fin dalle prime ore del mattino risulta essere abbagliante. Non lascia nascosto nessun particolare, illumina tutto con precisione rilucente. Man mano che mi incammino il chiarore lascia intravvedere cose che non avevo mai notato; come quello scorcio del campanile di Santo Stefano, che si staglia perfettamente nel centro dell’intersezione dei tetti di coppi embricati di via Laghetto.
La stessa luce, dà vigore ai colori. Colori che la città smunta dal grigio occulta, ma che risplendenti si fanno notare: l’azzurro del cielo, il rosa del Duomo, il rosso dei palazzi di via Francesco Sforza, il giallo della Villa insieme al verde della Catalpa nei Giardini della Guastalla e l'arancione delle tovaglie dei tavolini di un bar di via Dante.
Ma la cosa più bella è apprezzare i profumi e le sensazioni che il vento libera dai contesti. Il dolce gelsomino mi ricorda di essere serena. La fragranza di briosce mi fa ricordare la compagnia che amo. Il pelucco di pioppo che vola fino al naso, mi fa rivivere l’abbraccio della neve.
Insomma, forse quel gran mal di testa che il vento mi ha destato è stato ripagato… e forse… mi è anche un po’ passato.
venerdì 11 maggio 2012
domenica 6 maggio 2012
Spettacolo naturale
Rimango incantata davanti alla porta finestra della cucina. I pollini del pioppo volteggiano in quantità tale da far sembrare che cada la neve. Tra loro si incontrano e si incollano. Aumentano nel volume ma non smettono di roteare nel cielo. Il loro peso è nullo e l’aria sembra spostarli verso l’alto. Sono di fronte ad un volo antigravitazionale. Ad un tratto vedo che dal cielo nero, iniziano a scendere delle gocce di pioggia. Incredibilmente i pollini persistono. Prendo a seguirne uno solo con lo sguardo attento. Non lo perdo di vista, voglio vedere se l’acqua lo cattura. Niente da fare. Resiste. Si adagia tra le foglie del gelsomino che si intrecciano nella ringhiera del balcone, restando asciutto. Ma lo spettacolo ha un ultimo quadro. La scena è ravvivata dal sonoro di rumorosi tuoni, immediatamente seguiti da guizzi di lampi. È vicinissimo un temporale che in un battibaleno trasforma lo strano chiarore del cielo, dal bianco dei pollini al candore della grandine. Assordante e abbondante, la grandine ha in un attimo atterrato tutti i pelucchi silenziosi e roteanti, lasciando la piazza ingombra di ghiaccio. Il ghiaccio è così tanto che blocca i tombini e ha preso a galleggiare su qualche centimetro d’acqua. La tempesta dura pochi minuti, con un rumore tonante. Mi accorgo di non essere la sola spettatrice. Alcuni passanti sono stati obbligati a ripararsi sotto il portico e grondanti guardano l’atto finale. Uno squarcio di cielo azzurro interrompe il frastuono e lascia che qualche raggio di sole sciolga ciò che c’è da sciogliere e faccia ripartire la fabbrica dei pioppi.
venerdì 4 maggio 2012
Dalla poesia... un libro
Il tradurre, come il poetare, è scommettere sull'uomo e sulla sua capacità di superare le barriere dell'io per accogliere in sè "l'altro". La vita e il magistero di Karol Wojtyla Pontefice sono una metafora del tradurre: portare una notizia agli uomini, muovendosi dalla propria "residenza" e andandoli a cercare.
La nota ipotesi dell'intraducibilità non è altro che una versione etno-linguistica dell'antico mito biblico della dispersio linguarum: gli uomini non si capiscono e non comunicano perchè hanno chiuso il loro cuore a causa dell'arroganza di Babele. In questa chiave una luce vivida illumina l'antico enigma dell'universalità del linguaggio e della molteplicità delle lingue. Dopo Babele, comprendere è "tradurre", e la traduzione è innanzitutto, per dirla con Paul Ricoeur, "una sfida etica". Il successo di ogni evento linguistico ("io parlo, tu comprendi") è sempre un miracolo.
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