lunedì 31 maggio 2010
Fine di maggio
Questa mattina mi ero ripromessa di alzarmi più tardi del solito ma non ci sono riuscita. Tutto ha avuto inizio con il consueto ordine, che mi rassicura. In ogni caso valeva la pena cominciare presto perché fin da subito il cielo è stato come lo sguardo: chiaro. Così chiaro che non è sfuggito di commuovermi per l’intenso fine maggio. Il profumo del gelsomino e dei tigli in fiore ha riempito l’aria, il sole caldo ha contrastato la brezza, il cielo limpido ha illuminato i giardini. Nel pomeriggio le panchine affollate hanno dato sosta a giovani innamorati, uomini in doppiopetto in intervallo, ragazzi con un pallone e anziani col giornale. Infine ora che si avvicina la sera non posso che tornare a casa con lo sguardo alle guglie del Duomo, che sotto una immensa gru sono ancora una volta nelle mani di restauratori esperti. È così che si chiude un mese speciale.
giovedì 20 maggio 2010
venerdì 14 maggio 2010
Temporale...
Il congresso è al suo termine e il rumoreggiare che sento non è solo per l’insofferenza dei partecipanti, bensì è legato al cielo che anche questa sera vuole farsi sentire con forza.
Prendo la decisione di abbandonare la sala.
Se imposto un’andatura veloce forse riesco ad anticipare il rovescio.
Esco e inizio con passo svelto a dirigermi verso il parcheggio.
Caspita, non ricordavo di aver lasciato la macchina così lontana e faccio fatica ad orientarmi, questa zona mi è sconosciuta e la via che devo raggiungere è uguale a tutte le altre che si dipanano con disordine intorno all’ospedale San Paolo.
Il rombo è ormai vicino, troppo vicino, alzo il cappuccio della giacca e non faccio a tempo a chiuderla che l’acqua ha già intriso completamente i capelli e la maglia.
Anche le scarpe hanno assunto in pochi attimi un colore nero, dimenticando che da asciutte erano cuoio. Per fortuna stamattina sono stata previdente e ho tenuto come ieri, l’altro ieri e l’altro ieri ancora quelle pesanti… questi giorni sono troppo sibillini, non ci si può fidare della nuvola nera che sembra dissolversi.
Fradicia, apro il portello dell’auto.
Non mi attardo, metto in moto il motore e i tergicristallo… anche il posteriore.
La pioggia picchia, il ticchettio a tratti è più forte del rumore del traffico e mi incuriosisce riuscire a viaggiare stando finalmente all’asciutto, anche se sento un disagio.
Sono stranita da una certa instabilità della vettura, ma non ho il coraggio di fermarmi a fare analisi. Lo scroscio è troppo intenso e ho deciso che rimando gli accertamenti del caso a quando sarò sotto casa.
L’instabilità si mantiene e subentra un rumore caratteristico, un fruscio che si ripete ritmico.
Si insinua un sospetto… e azzardo una possibile diagnosi!
Mi viene in mente che sotto casa c’è un gommista.
Caspita, appena in tempo, non sono ancora scesa dalla macchina che l’omino mi conferma: "signora, ha bucato!"
Cric, quattro svitamenti e l’avvistamento di un grosso chiodo infilato nel copertone.
Be, niente di grave, sono una donna fortunata; la terapia è durata un attimo e la macchina è già in garage pronta per la prossima avventura e per il prossimo temporale!
Prendo la decisione di abbandonare la sala.
Se imposto un’andatura veloce forse riesco ad anticipare il rovescio.
Esco e inizio con passo svelto a dirigermi verso il parcheggio.
Caspita, non ricordavo di aver lasciato la macchina così lontana e faccio fatica ad orientarmi, questa zona mi è sconosciuta e la via che devo raggiungere è uguale a tutte le altre che si dipanano con disordine intorno all’ospedale San Paolo.
Il rombo è ormai vicino, troppo vicino, alzo il cappuccio della giacca e non faccio a tempo a chiuderla che l’acqua ha già intriso completamente i capelli e la maglia.
Anche le scarpe hanno assunto in pochi attimi un colore nero, dimenticando che da asciutte erano cuoio. Per fortuna stamattina sono stata previdente e ho tenuto come ieri, l’altro ieri e l’altro ieri ancora quelle pesanti… questi giorni sono troppo sibillini, non ci si può fidare della nuvola nera che sembra dissolversi.
Fradicia, apro il portello dell’auto.
Non mi attardo, metto in moto il motore e i tergicristallo… anche il posteriore.
La pioggia picchia, il ticchettio a tratti è più forte del rumore del traffico e mi incuriosisce riuscire a viaggiare stando finalmente all’asciutto, anche se sento un disagio.
Sono stranita da una certa instabilità della vettura, ma non ho il coraggio di fermarmi a fare analisi. Lo scroscio è troppo intenso e ho deciso che rimando gli accertamenti del caso a quando sarò sotto casa.
L’instabilità si mantiene e subentra un rumore caratteristico, un fruscio che si ripete ritmico.
Si insinua un sospetto… e azzardo una possibile diagnosi!
Mi viene in mente che sotto casa c’è un gommista.
Caspita, appena in tempo, non sono ancora scesa dalla macchina che l’omino mi conferma: "signora, ha bucato!"
Cric, quattro svitamenti e l’avvistamento di un grosso chiodo infilato nel copertone.
Be, niente di grave, sono una donna fortunata; la terapia è durata un attimo e la macchina è già in garage pronta per la prossima avventura e per il prossimo temporale!
mercoledì 12 maggio 2010
domenica 9 maggio 2010
Un fine settimana...
Giorni trascorsi dove crescono a miriadi i nontiscordardimè;
dove i prati sono tempestati da bocche di leone;
dove il sentiero porta all’albero di cui i grappoli di fiori, diventeranno amarene selvatiche;
dove se esci a mangiare la pizza, ti viene da ordinare quella ai finferli;
dove la casa sa di camino;
dove il silenzio notturno coincide con il rotolare del torrente;
dove il fazzoletto di prato ripido su cui si affaccia la finestra della cucina, è il pascolo per una ventina di pecore;
dove troneggia una montagna carica di neve, di cui il profumo arriva fino in valle;
dove riesco a respirare a pieni polmoni e a trattenere il fiato perché è troppo bello;
dove ti sento molto vicino e dove mi manchi di più;
dove quando arrivo, sono contenta di essere tornata;
dove quando parto, resto grata.
dove i prati sono tempestati da bocche di leone;
dove il sentiero porta all’albero di cui i grappoli di fiori, diventeranno amarene selvatiche;
dove se esci a mangiare la pizza, ti viene da ordinare quella ai finferli;
dove la casa sa di camino;
dove il silenzio notturno coincide con il rotolare del torrente;
dove il fazzoletto di prato ripido su cui si affaccia la finestra della cucina, è il pascolo per una ventina di pecore;
dove troneggia una montagna carica di neve, di cui il profumo arriva fino in valle;
dove riesco a respirare a pieni polmoni e a trattenere il fiato perché è troppo bello;
dove ti sento molto vicino e dove mi manchi di più;
dove quando arrivo, sono contenta di essere tornata;
dove quando parto, resto grata.
venerdì 7 maggio 2010
Sala Parto
Quattro colleghe in turno.
Due sono alle prese con le neo mamme. Le lascio lavorare.
Una è storica, compagna di lavoro da sempre. Mi fermo a scambiare due parole. Mi chiede come sto e le due parole si articolano.
La quarta segue un travaglio.
Sono venuta per osservare un parto, chissà se stare qui qualche ora sarà sufficiente.
La terza ostetrica mi rassicura, una delle donne in travaglio “è avanti”.
Entro anch’io nel “box parto”. Saluto.
“Posso stare?” chiedo sottovoce alla collega. “Certamente, è un piacere”.
Caspita, manco da un po, ma non sono estranea. È uno dei vantaggi di essere ostetrica-senior!
La donna “spinge”, è serena, presente, ricambia lo sguardo e il sorriso. Il marito le sta vicino. Cerca di aiutarla ma viene respinto… fa parte del gioco, che è “lavoro di donne”… guardateci, amateci, ma non interferite!
Spinge, spinge, qualche urlo, qualche lamento sommesso, la solita domanda: “Quanto manca?”
Affiorano i capelli.
L’ostetrica “si lava”.
Guardo con interesse la “preparazione del tavolo” e l’assisto.
Teli, faldine, garze, kocher, forbice, clips, pinza antomica, portaghi e ciotola. Il catino e l’acqua. Le siringhe e l’anestetico locale. C’è tutto.
Spinge, spinge, l’urlo cambia… è quello che aspettavamo.
Ormai io e la mia collega siamo in allerta.
Sto con la donna. Asciugo le perle di sudore, sorrido, conforto… “Sei bravissima!”
Spinge, spinge, ma lascia interruzioni: ha male, ha paura, sente che sta nascendo!
“E’ coronata”.
Inizia il disimpegno: la fronte, gli occhi, il naso e la bocca.
Il papà avanza e indietreggia. Forse è troppo, non è possibile! C’è una faccina che ci guarda, apre gli occhietti e sembra accorgersi dello stupore che suscita.
La mamma è in pausa. Ora è assente, è in quello stato che le permette di ascoltare solo una voce, e non va deconcentrata.
Si aspetta la prossima contrazione.
Arriva. Arriva. Spinge. “Moto di restituzione, s’impegna la spalla anteriore, si disimpegna la posteriore”.
Le mani dell’ostetrica sono leggere, accompagnano, forse accarezzano soltanto, ma si ritrovano ad abbracciare una nuova creatura: “E' femmina!”
Sia lodato il Cielo: è sana, piange, s’inarca, si ribella.
La mamma e il papà la guardano, è l’inizio di qualcosa che sarà per sempre.
E’ gratitudine, è mistero.
La bambina è finalmente avvolta dal corpo e dalle lacrime di gioia della mamma e del papà e per le ostetriche questo momento speciale è anche attesa del secondamento, odore di sangue, attenzione alla perdita, controllo del benessere materno e neonatale... ma quello che vince, è che per tutti questo momento unico è VITA!
Due sono alle prese con le neo mamme. Le lascio lavorare.
Una è storica, compagna di lavoro da sempre. Mi fermo a scambiare due parole. Mi chiede come sto e le due parole si articolano.
La quarta segue un travaglio.
Sono venuta per osservare un parto, chissà se stare qui qualche ora sarà sufficiente.
La terza ostetrica mi rassicura, una delle donne in travaglio “è avanti”.
Entro anch’io nel “box parto”. Saluto.
“Posso stare?” chiedo sottovoce alla collega. “Certamente, è un piacere”.
Caspita, manco da un po, ma non sono estranea. È uno dei vantaggi di essere ostetrica-senior!
La donna “spinge”, è serena, presente, ricambia lo sguardo e il sorriso. Il marito le sta vicino. Cerca di aiutarla ma viene respinto… fa parte del gioco, che è “lavoro di donne”… guardateci, amateci, ma non interferite!
Spinge, spinge, qualche urlo, qualche lamento sommesso, la solita domanda: “Quanto manca?”
Affiorano i capelli.
L’ostetrica “si lava”.
Guardo con interesse la “preparazione del tavolo” e l’assisto.
Teli, faldine, garze, kocher, forbice, clips, pinza antomica, portaghi e ciotola. Il catino e l’acqua. Le siringhe e l’anestetico locale. C’è tutto.
Spinge, spinge, l’urlo cambia… è quello che aspettavamo.
Ormai io e la mia collega siamo in allerta.
Sto con la donna. Asciugo le perle di sudore, sorrido, conforto… “Sei bravissima!”
Spinge, spinge, ma lascia interruzioni: ha male, ha paura, sente che sta nascendo!
“E’ coronata”.
Inizia il disimpegno: la fronte, gli occhi, il naso e la bocca.
Il papà avanza e indietreggia. Forse è troppo, non è possibile! C’è una faccina che ci guarda, apre gli occhietti e sembra accorgersi dello stupore che suscita.
La mamma è in pausa. Ora è assente, è in quello stato che le permette di ascoltare solo una voce, e non va deconcentrata.
Si aspetta la prossima contrazione.
Arriva. Arriva. Spinge. “Moto di restituzione, s’impegna la spalla anteriore, si disimpegna la posteriore”.
Le mani dell’ostetrica sono leggere, accompagnano, forse accarezzano soltanto, ma si ritrovano ad abbracciare una nuova creatura: “E' femmina!”
Sia lodato il Cielo: è sana, piange, s’inarca, si ribella.
La mamma e il papà la guardano, è l’inizio di qualcosa che sarà per sempre.
E’ gratitudine, è mistero.
La bambina è finalmente avvolta dal corpo e dalle lacrime di gioia della mamma e del papà e per le ostetriche questo momento speciale è anche attesa del secondamento, odore di sangue, attenzione alla perdita, controllo del benessere materno e neonatale... ma quello che vince, è che per tutti questo momento unico è VITA!
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