Come tutti gli anni accade, mi ritrovo a vigilare nelle aule del polo
universitario di via Golgi.
La commissione di vigilanza ha un obiettivo preciso: dare le opportune
indicazioni ai candidati aspiranti l’accesso alla Laurea Magistrale, dettare i
tempi per lo svolgimento del test di ammissione e controllare che non ci siano
scorrettezze nello svolgimento.
Al fine di ciò la commissione d’aula stila un verbale, consegna tutto
il materiale agli addetti amministrativi e si accommiata.
Il 26 ottobre c. a. la commissione cui sono stata assegnata è intima:
due amministrativi e un professore ordinario. L’aula indicatami è grande, di
quelle da 150 posti. I candidati invitati ad accomodarsi sono 64.
Riusciamo a distribuire maschi e femmine in modo ordinato cercando di
evitare vicinanze “pericolose”; e seguendo tutte le opportune procedure diamo
lo start.
Inizio a camminare tra le file e i corridoi. Non mi do tregua. Il tempo
ha da passare, e oltre ad una piccola pausa caffè concessami con il professore,
due ore sono lunghe a trascorrere, e girare un po’ su e giù per le scale degli
spalti, non può che farmi bene.
Colgo due fanciulle che si parlano e le richiamo. Da quel momento in
poi silenzio totale.
Ma non sono tranquilla.
Mi accorgo infatti, con una sorta di “meta-competenza”, che un ragazzo
e una ragazza “comunicano”. Non è una comunicazione verbale e neanche gestuale
è qualcosa che scorre su un canale di cui avverto presenza ma non è percepibile
né con udito, né con occhio. La trasmissione non usa né il senso uditivo, né
visivo: bensì cinestetico. Per coglierla dev’essersi attivato in me quel senso
percettivo cui cerco di educare le mie studentesse quale: “proprio dell’essere
ostetrica”.
Continuo a scrutare i due fanciulli, quasi in modo ossessivo, ma non
riesco a trovare un “atto” sospetto oggettivabile che li “inchiodi”. Sono
seduti su file diverse, la femmina è davanti al maschio e tra loro hanno un
contatto che sfrutta – per me che li guardo - la diagonale da destra verso
sinistra, a partire dalla femmina, diretto verso il maschio.
Non mi dimentico di tenere d’occhio tutta l’aula, ma insistendo con lo sguardo
sui due soggetti “sospetti”, ad un tratto noto una somiglianza somatica. Mi
viene l’intuizione di potermi trovare davanti a due “gemelli”. Di fatto, per
professionalità, se dovessi quantizzare la capacità comunicativa di questi
soggetti, direi che i “gemelli” sono speciali; vivono i nove mesi gestazionali a
stretto contatto, immersi negli stessi “sapori”, tanto da essere educati come
potrebbero fare trent’anni di amicizia post natale!
Scendo alla cattedra dove è restata seduta una delle colleghe amministrative
e chiedo se tra i convenuti registrati ce ne sono due con lo stesso cognome:
bingo! Ho sbagliato di poco, la ragazza e il ragazzo sono sorella e fratello
con circa due anni d’età di differenza a vantaggio della femmina.
Faccio presente al resto della commissione di tenere d’occhio i due
fratelli, ma resta a tutti veramente difficile “sintonizzarsi sulle loro
frequenze”. Il tempo scorre e si avvicina l’ultimo quarto d’ora in cui non si
può più consegnare il test volontariamente. Ora tutti i rimanenti devono
aspettare la fine del tempo previsto.
Finisce la prova e inizia il “ritiro d’ufficio”. Lei e lui hanno finito
di stilare il compito e attendono restando nel loro banco. Non perdo
l’occasione per essere io ad avvicinarmi loro e chiedere: “Avete imparato fin
da piccoli a comunicare usando un alfabeto tutto vostro?”. Diventano entrambi
rossi nel volto, e mi sorridono. Non parlano, la sorella si limita a farmi un
gesto: si tocca il volto comprendendo la radice del naso e la bocca. Stupendo! Comunica
ancora una volta sfruttando il canale cinestetico: il tatto, e la possibilità
della percezione d’olfatto e di gusto di un “fluido”, quale potrebbe essere per
un profumo e un cibo.
Sorrido e a mia volta riprendo con la voce - anche se hanno già compreso
cosa è successo - li ho colti, ma ci tengo a dire cosa me lo ha permesso: “Mi
sono accorta che comunicavate perché sono un’ostetrica, e tra voi è come
presente un cordone ombelicale, che si ‹percepisce›
fortissimo, ma non sono riuscita a incastrarvi!”
Mi allontano e alle mie spalle sento il fratello che sussurra alla sorella:
“Come ha fatto ad accorgersi?” E lei risponde: “È un’ostetrica”.
Posso concludere l’esperienza: quest’anno è stata una
“vigilanza” interessante. Ho dato esercizio a qualcosa che tutti sperimentiamo,
anche se spesso non ci diamo il giusto peso: il valore di sfiorare; di inviare
un messaggio aromatico.
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