Maria,
medico geriatra, ieri è andata a fare una visita domiciliare per valutare la
possibile attribuzione di invalidità ad un ultranovantenne. È accaduto al
mattino pertanto alla sera ha potuto raccontare come si sono svolte le cose.
Arrivata
in una umile casa di povero quartiere della periferia milanese, Maria è accolta
da una coppia di coniugi canuti, con una figlia in loro compagnia. Il soggetto
della visita è un uomo reduce da vent'anni di lavoro come “spacca-pietre” in
Germania, rientrato in Italia per lavorare altri venticinque anni per le
Ferrovie dello Stato come “lava-carrozze”, si chiama Angelo. La moglie Anna lo
osserva con sguardo amorevole, la figlia vigila per l’occasione sui genitori.
Angelo
si rivela subito impegnativo. Tremolante, seduto tutto curvo su di una poltrona
governata da sistemi telecomandati, fa fatica ad articolare la voce, ma
saluta con rispetto. Per la visita c’è da invitarlo a cambiare stanza, così si ha
modo di constatare che l’alzarsi richiede un certo tempo ed impegno e resta
indispensabile il deambulatore che viene spinto a fatica. Raggiunta la camera
da letto, si procede con una visita di individuazione di disfunzioni organiche,
non solo legate alla longeva età, bensì legate al fatto che è ormai conclamato
un morbo di Parkinson. La figlia vorrebbe intromettersi per aiutare il padre,
ma fa parte della visita riuscire a comprendere il livello dei deficit, per cui
il soggetto delle cure non va sostituito.
Ora
si torna in cucina-salotto perché la seconda parte della visita prevede di
somministrare alcuni test attitudinali che classificano i possibili decadimenti
cognitivi.
Tutto
procede lentamente, come ci si aspetta che possa procedere in un soggetto di
cui la compromissione del corpo gravemente scoliotico, quasi sicuramente
sfocerà in una invalidità riconosciuta.
Manca
l’ultimo step della visita. Maria chiede ad Angelo: “Scriva una frase per
favore”, porgendo all’anziano un foglio e una penna.
Silenzio.
Lungo silenzio. Tempo. Molto tempo.
Interviene
la figlia: “Dottoressa guardi che mio padre è tantissimo tempo che non lo vedo
scrivere, lasci stare…”
Maria:
“Non si preoccupi. Diamo tempo”.
Maria,
guardando lo sguardo presente di Angelo sul foglio, ha capito che ci sarà
sufficiente energia per comandare una mano come si conviene. Ci vuole solo
tempo. Il tempo darà la possibilità di ordinare i processi.
Finalmente
Angelo comincia a scrivere, con un tratto appena appena decifrabile ma
chiaramente interpretabile: “Anna ti volio bene”.
Spettacolo!
Ecco una sfumatura del voler bene: un tempo che governato dalla commozione, lascia
emergere il profondo che scalda il cuore e giustifica il nostro limite, anche di
grafia.
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