Abito a ridosso di una Pieve, e tutte le volte che entro con
riverenza, mi metto in modo da poter scrutare da vicino quel punto preciso del
pavimento, dove il cristallo lascia intravvedere l’area di sepoltura di un
cavaliere medioevale. Il sepolcro, ora vuoto, è stato studiato nel momento del
ritrovamento della reliquia, e l’uomo a dismisura alto per quel tempo, è stato
identificato come un soldato di rango, reduce di crociate. Quattro croci rosse
sono disegnate nel sarcofago: una alla testa, una a piedi e due all’altezza
della cintola. Nel resto dello spazio, il loculo resta semplice, senza
decorazioni, con la forma che rispetta un anfratto per la calotta del cranio,
un dilatarsi per le clavicole e un ridursi fino ai malleoli. Forse gli uomini
scaltri che hanno scavato la superficie della roccia, hanno pensato di definirla
giusta per raggiungere la sufficienza, senza esagerare, senza dare troppa
importanza a chi sicuramente era già grande di cuore. Mi affascina immaginare che per secoli, quell’uomo
sia rimasto nel nascondimento, orante silenzioso fino ad essere dimenticato, e
che poi tutto ad un tratto abbia deciso di riaffiorare, quasi a dire che il
nostro stato di mendicanti è per i più sconosciuto, ma prima o poi va
riconsiderato. Chissà quale onore ora ha nei cieli un uomo così, che è rimasto
fedele alla sacra Casa. Chissà quale sarà stato il suo nome e il suo desiderio.
Se fosse possibile definire il nome con la mia fantasia, lo chiamerei Angelo -
perché tutte le volte mi porta un messaggio; o forse lo chiamerei Michele,
perché è un angelo che ha saputo lottare. Per quanto riguarda il desiderio lo definirei
Infinito – perché tutte le volte mi lascia la speranza di poter conseguire
anch’io l’infinità.
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