
D’altra parte bisogna dire che noi ragazze eravamo però oggetto della cura delle compagne più grandi, soprattutto delle nostre insegnanti. Proprio loro dimostravano, nelle loro premure, qualcosa di materno e, benché chiamassimo mamma solo una donna (Maria Liberakowa), tutte cercavano di proteggerci e di salvarci in qualche modo dallo sterminio interiore. Più tardi, quando quasi morivo di fame, mi resi conto con quale impegno quelle insegnanti ci volessero difendere proprio dalla perdita dell’umanità. Salvarono la nostra mente, che in quella realtà da incubo era come paralizzata. Quelle donne, che stavano anch’esse morendo di fame, organizzarono per noi giovani, perché “non perdessimo tempo”, una scuola, un’autentica scuola, benché senza libri né matite. Dalle ricchissime risorse della memoria umana ci offrivano tutto quello che potevano. Studiai storia, matematica, fisica, geografia e addirittura anatomia, dato che verso la fine della prigionia avevo deciso che sarei stata medico. Salvarono una parte di noi stesse.
Tutto ciò mi rivelò sempre di più il mistero dell’umanità e approfondì la mia angoscia: l’uomo mi appariva come un enigma, per la cui soluzione non avevo la chiave.
Si presentava dominato da una forza brutale, eppure capace di libertà interiore; determinato dalla fisiologia del proprio corpo, vinto dal dolore fisico, dal freddo e dalla fame, eppure capace di contenere tutte le costrizioni del corpo! Non tutte le donne rubavano per la fame e non tutte cedevano alla deviazione sessuale. C’erano donne libere e prigioniere nello stesso tempo.
Fino a che punto quelle donne dipendevano dal loro corpo? Non lo sapevo ma mi tormentava la domanda. No, durante quei quattro anni di osservazione, non avevo trovato la risposta alla domanda: chi è l’uomo?
Wanda Poltawska Diario di un'amicizia Ed. San Paolo
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