domenica 28 febbraio 2010

Lauree professionalizzanti: integrazione tra formazione teorica e pratica

Tante colleghe formate e in formazione post laurea, mi chiedono cosa ritengo fondamentale al fine di integrare l'educazione teorica con quella pratica.
Cerco di dirlo con un racconto.
Questo è un fatto realmente accaduto, che come le fiabe, vuole lasciare ai suoi lettori una morale… almeno, io l’ho vissuta così, tanto che non me la sono dimenticata…
Ve la riporto come la memoria l’ha registrata.
Un giorno in un’aula magna, di un Ospedale che non vi dirò, in un anno che non vi dirò, erano stati raccolti un buon numero di studenti che frequentavano un Corso per diventare Infermieri.
Stavano quasi per concluderlo, e si accingevano così a diventare dei professionisti.
La loro Direttrice (oggi diremmo Coordinatrice Tecnico Pratica), si accingeva ad accomiatarsi, raccomandando con sincere e buone parole di non dimenticarsi mai di dimostrare nel tempo di essere dei bravi infermieri.
In realtà proponeva un ideale più alto, chiedeva ai “suoi” studenti, di conservare nel tempo la soddisfazione che la professione scelta avrebbe restituito.
Ad ascoltarla c’erano anche le “Didatte”, quelle che forse oggi potremmo identificare con il nome di “Tutor teorici”, ad una delle quali visibilmente comparve anche un certo luccicore agli occhi.
Ma ad un tratto l’idillio si interruppe perché con una domanda inaspettata la Direttrice chiese a suoi studenti di intervenire dicendo: “Avete incontrato sicuramente in questi anni un infermiere, magari infermiere da trent’anni, contento di essere un infermiere!?”
Si aspettava così di far leva sul cuore dei “suoi ragazzi” proponendo un modello…
“Non rispondete?” Incalzò.
Allora prese la parola il leader della classe, quello che per tre anni aveva condotto senza essere stato riconosciuto condottiero, il vero capo, anche se da che ne so, non è diventato un manager; e disse con coraggio: “Io no”.
Il gelo dell’inverno che arriva senza essere annunciato dall’autunno, calò.
Si interruppe bruscamente il fervore della Direttrice, che sbigottita si trovò ammutolita.
Convinta dal dover salvare la situazione, la “Didattacommossa”, che asciugò fugacemente la lacrima che non aveva potuto evitare, esclamò:
“E io, ragazzi …e io?… Mi avete incontrata!?”
E una voce dall’uditorio, bassa – ma non troppo da non essere sentita;
debole – ma non troppo perchè stava dicendo una cosa greve;
impersonale – giusto per non essere riconoscibile;
concluse la storia affermando: “Ma lei non fa l'infermiera”.

venerdì 26 febbraio 2010

Accenno... di primavera


L’uomo è nato
per essere felice
e chi è veramente felice
è degno di dire a se stesso:
"Io ho adempiuto la legge di Dio su questa terra".

F. Doestoevskij

martedì 16 febbraio 2010

Tentativo di tratto indelebile

E' il momento di scrivere una denuncia di nascita;
perchè è nato un bambino.
Ti chiedono di scrivere un capitolo di libro;
lo fai perché come ostetrica ci credi.
Ti viene da scrivere un pensiero;
perché come donna lo vivi.
Ti trovi a dover scrivere un articolo;
perché come dottoranda è dovuto.
Realizzi di scrivere una poesia;
perché nel cuore la pensi.
Devi scrivere un verbale;
perché sei la segretaria del Consiglio.
Cominci a scrivere una lettera;
perché un’amica ti manca.
Correggi riscrivendo parte di una tesi;
perché non trovi frasi con soggetto, verbo e complemento.
Lasci parole scritte su un biglietto;
perché non sai come dire che vuoi bene.
...
Cerco di lasciare un segno indelebile
mentre riconosco come vero
quello che non riesco a definire!

lunedì 8 febbraio 2010

A serious man



Una domenica sera con Fiorenza al cinema. Un cinema piccolino e famigliare per vedere un film che ricorda che non c'è niente di più tragico che una religione in cui dio non dà risposte all'uomo. Tra l'altro si dipinge un inevitabile contesto di donne "streghe".
Che dire?
Un film visto in ritardo rispetto alle prime visioni, che fa pensare...

http://www.mymovies.it/cinema/milano/5435/

domenica 7 febbraio 2010

Un giorno di vita… il “pro life” non mi basta!

In un Istituto dove gli uomini sono accolti tutti e comunque, a prescindere dai loro limiti psichici e fisici, ci sei anche tu.
Ti ho notato da subito, perché sei schivo… come piace a me.
Non so darti un’età, forse hai qualche anno più di me, ma non tanti di più.
Sei alto quanto basta per superarmi e sei magro, forse troppo!
Non c’è un attimo in cui trovi pace il tuo corpo, sei sempre in movimento e anche quando riesci a stare fermo perché non cammini avanti e indietro, le tue braccia e le tue mani non hanno riposo.
Se non disegni grandi archi come un direttore d’orchestra, allora è per coprirti il volto o per accarezzarti la testa.
È raro che alzi lo sguardo e quando lo fai è per attimi fugaci. Ho fatto fatica ad intuire il colore dei tuoi occhi perché non mi hai retto lo sguardo per più di un secondo, anche se sono sicura che mi vedi.
Sono chiari, ma di un chiaro profondo, come il cielo di un’alba che stenta o forse anticipa una giornata d’inverno.
Di tutto questo che ho notato, anche se scritto è poco e detto male, c’è una cosa che mi impressiona: sei lieto!
Oltre tutto, in questo anno che è passato, ho notato che sei cambiato. Sei più che lieto da quando un frate ha manifestato per te una preferenza ricambiata.
Ora sei proprio certo. Lieto e certo che sei voluto.
Ecco un giorno di vita: alzarci lieti e certi di essere voluti così come siamo, perché c’è chi ci ama così come siamo!

venerdì 5 febbraio 2010

Leggo e ... trascrivo



D’altra parte bisogna dire che noi ragazze eravamo però oggetto della cura delle compagne più grandi, soprattutto delle nostre insegnanti. Proprio loro dimostravano, nelle loro premure, qualcosa di materno e, benché chiamassimo mamma solo una donna (Maria Liberakowa), tutte cercavano di proteggerci e di salvarci in qualche modo dallo sterminio interiore. Più tardi, quando quasi morivo di fame, mi resi conto con quale impegno quelle insegnanti ci volessero difendere proprio dalla perdita dell’umanità. Salvarono la nostra mente, che in quella realtà da incubo era come paralizzata. Quelle donne, che stavano anch’esse morendo di fame, organizzarono per noi giovani, perché “non perdessimo tempo”, una scuola, un’autentica scuola, benché senza libri né matite. Dalle ricchissime risorse della memoria umana ci offrivano tutto quello che potevano. Studiai storia, matematica, fisica, geografia e addirittura anatomia, dato che verso la fine della prigionia avevo deciso che sarei stata medico. Salvarono una parte di noi stesse.
Tutto ciò mi rivelò sempre di più il mistero dell’umanità e approfondì la mia angoscia: l’uomo mi appariva come un enigma, per la cui soluzione non avevo la chiave.
Si presentava dominato da una forza brutale, eppure capace di libertà interiore; determinato dalla fisiologia del proprio corpo, vinto dal dolore fisico, dal freddo e dalla fame, eppure capace di contenere tutte le costrizioni del corpo! Non tutte le donne rubavano per la fame e non tutte cedevano alla deviazione sessuale. C’erano donne libere e prigioniere nello stesso tempo.
Fino a che punto quelle donne dipendevano dal loro corpo? Non lo sapevo ma mi tormentava la domanda. No, durante quei quattro anni di osservazione, non avevo trovato la risposta alla domanda: chi è l’uomo?

Wanda Poltawska Diario di un'amicizia Ed. San Paolo

martedì 2 febbraio 2010

Riprendo un libro e trascrivo di un uomo che sa...


"Si può dire che il primo fattore è ciò che l'educatore è; il secondo è ciò che l'educatore fa; solo il terzo è ciò che egli dice"
Romano Guardini