Il ricordo è legato al loro stridere acuto, nel bosco di pini marittimi del barone Fumarola. Il caldo insopportabile mi faceva sudare i piedi e le piccole ciabattine da mare - giuste per una bimba di tre anni - scivolavano rispetto ai piedini, così da mettere le dita nelle condizioni di urtare gli aghi lunghi e pungenti, che tappezzavano il terreno.
Questo disappunto non fermava il mio pellegrinare, perché guardare i tronchi lanciati e ombrosi, diventava un gioco. Restavo alla ricerca degli involucri abbandonati dagli insetti canterini, mutati.
Oggi - che sono diventata grande - il loro canto è legato al passaggio da parchi cittadini, dove il caldo di luglio nutre lo stesso cicaleccio che accompagnava le lunghe estati dell'infanzia.
Guastalla, parco delle Cave, parco dei Fontanili; in tutti, quegli insetti stagionali dominano lo spazio sonoro.
Mi riposa ascoltarli. Mi piace cercare di identificare il fruscio che domina sugli altri. Sorrido al pensare che dietro ad una melodia polifonica albergano numerose cicale, che la letteratura ha sempre considerato zuzzurellone.
Forse godo del fatto che il mio desiderio di spensieratezza, sia innescato da uno sbattere di ali.
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