Si torna al quotidiano,
tornare è un viaggio,
un viaggio caldo,
caldo come l’auto parcheggiata al sole.
È ritrovare le cose solite,
eppure cambiate.
L’irruzione di ladri ha lasciato il segno,
così come ha lasciato il segno lasciare i monti,
lasciarti partire,
accettare di andare a casa.
Manca il silenzio della cima,
resta la nostalgia del sole,
della luce che fa scoprire il colore dei tuoi occhi,
colore uguale a quello di tuo padre.
Eppure oggi ho fissato degli occhi,
occhi in lacrime da dolore profondo,
dolore antico,
generato da un peso di zaino troppo pesante,
troppo pesante per l’età in cui è stato caricato.
Lo zaino era pesante anche per la pietraia,
perché era pensato per il ghiacciaio,
il ghiacciaio avrebbe svuotato il carico.
Così ha cercato di alleggerire il peso l’abbraccio,
l'abbraccio che ho cercato di far sentire,
l'abbraccio che ho cercato di far sentire,
l’ascolto che ho cercato di dare,
di dare ad una donna giovane,
ad una futura ostetrica,
che non sa ancora se lo diventerà.
Ma il destino è buono,
ne sono certa,
ne sono certa perché quanto te l’ho ricordato,
mi hai sorriso.
mi hai sorriso.
Un sorriso fugace,
schivo così come quando si cerca di farti una fotografia,
di trovare il tuo sguardo,
di toccarti.
Ma toccare non deve essere un trattenere,
è giusto lasciar andare,
è giusto lasciar andare,
è buono tenere la giusta distanza,
la distanza di frasi monche,
delle parole che d'inchiostro nascono ora.
delle parole che d'inchiostro nascono ora.
Così,
stasera va così,
stasera va così,
il mio viaggio si traduce in frasi,
frasi brevi,
forse troppo brevi per essere comprensibili,
ma è il bello della vita:
trovare momenti,
attimi in cui scoprire frammenti di mistero,
attimi in cui il mistero si svela,
attimi in cui le distanze del viaggiare monadi si annullano.
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